Il mio Golgota non è una collina. In cima non mi aspetta una croce, o un’umanità da salvare. Dura invece tre piani e mezzo di scale. Le faccio piano, con il cuore che si affatica man mano che salgo, e i polmoni che mi ricordano che non ho più tredici anni. Allora scalavo lo stesso numero di gradini, più o meno, per andare a trovare il mio prete, che chissà perché abitava così in alto, nel collegio in cui studiavo. Lassù lui leggeva, correggeva compiti di latino, pregava. Io entravo e stavo in silenzio dopo un saluto. Lui continuava a studiare, o a pregare. Non parlava quasi. Passava il tempo senza che me ne accorgessi, e per tutti quegli interminabili secondi e minuti che non saprei raccontare, perché mi manca la letteratura nel sangue, io sapevo di non essere solo.
Adesso invece mi arrampico con difficoltà, rifiutando tenacemente l’ascensore, e il cervello diventa un tumulto di ricordi e di pensieri, perché si prepara. Quando arrivo sul ballatoio la porta si apre e lei è là dietro, quasi nascosta, con i suoi capelli bianchi, il fisico minuto che mi ricorda mia madre (un po’ banale, direbbe lei). Ci salutiamo, dandoci la mano. Entro e mi dirigo alla chaise longue. Mi siedo, prendo il respiro. A volte chiudo gli occhi a volte no. E comincio ad arrampicarmi per davvero, su per l’erta della mia vita, portando il fardello del mio passato, della mia storia che voglio ritrovare dopo averla perduta, del senso che forse non esiste ma non si può smettere di cercare, altrimenti è la morte, e a quella, all’ultima croce, davvero non sono ancora pronto.
Dal fianco, saranno due metri, ma sembrano chilometri, ere, dimensioni, lei guida con dolcezza quel flusso di pensieri e le mie lacrime, che sciolgono il dolore in accettazione, e tenerezza. Il cammino sale, ma porta nel profondo di me, e sento a volte di aver scavato così tanto che un flusso d’aria, calda o fredda, un liquido denso di passioni, affetti e risentimenti scorre avvolgendomi, invadendomi, facendomi rivedere e rivivere cose che avevo sepolto così tanto da pensarle appartenute ad altri, sconosciuti che mai avrei potuto incontrare.
Chi non ha provato, davvero, non sa cos’è la terapia, questo dolore che scaccia il dolore più grande, che non potevo sopportare. E che alla fine, lentamente, pervicacemente, mi ha fatto capire il senso del Golgota, e della passione del venerdì santo. Perché alla fine, nel buio più buio in cui ero immerso, camminando dentro di me in cima a quei tre piani, su quella poltrona, con qualcuno al fianco che mi guidava, ho scoperto che c’era un piccolo punto luminoso, che si allargava insensibilmente, con pazienza, ma senza più spegnersi. E, piano piano, ho capito che stavo di nuovo salendo le scale dei miei tredici anni, e che questa volta l’avrei compiuto per davvero, quel cammino verso una cima lontana in cui mi aspettava l’ultima rivelazione. In qualche pomeriggio invernale il prete me lo doveva avere detto, ma io, si sa come sono i ragazzi, dovevo essere distratto. Così mi ero perso quel piccolo passaggio, quello in cui ero già stato avvisato che senza il Golgota, senza la croce, senza l’ultimo dolore, davvero non si può pensare di risorgere alla vita. E che è allora che si può dire grazie.
Grazie.
Sono stata lì anch’io davanti alla porta in attesa di entrare per incontrare Graziella che avevo perso di vista da quando piccola decise che dentro al posto del cuore ci stava meglio un altissimo muro,tanto alto da non vedere più gli altri e se stessa,giusto per non far vedere e per non sentire il dolore di essere capitata in quella vita. Ogni volta che passavo quella porta lui mi accompagnava con poche scarne parole sempre più vicina a quel muro,a quel dolore sordo che sembrava dimenticato tanto da apparire estraneo. Anche me lo avevano detto che da quel dolore sarebbe nata Graziella,così come è,come è sempre stata dietro quel muro,più viva,più vera.Ma prima di incontrare di nuovo dopo 55 anni,Graziella,prima di finire quell’infinito e accidentato cammino ho provato un dolore ancora più grande,ho provato la sofferenza di chi con coraggio e compassione guarda se stessa e la sua vita.Alla fine è stato bello incontrare e abbracciare quella bambina che stava rannicchiata e muta dietro quel muro. Ho capito che tutto ha un senso anche la sofferenza perchè è la tua occasione per attraversare il mare della vita con un vento favorevole.E questo viaggio può iniziare solo quando il nostro cuore è pieno di gratitudine.
GRAZIE…….LLA
By: graziella on 23, aprile, 2011
at 3:56 am
Come sempre, leggerti mi regala quell’emozione intellettuale che si origina laddove il nostro nous cerca di ricongiungersi con la nostra storia personale, fatta di attimi fuggenti di cui non ci siamo accorti (ma forse è questa la loro magia), di epifanie visive od emozionali che il nostro io ha seppellito per anni, di vite possibili mai avute, di quel flusso caotico, irrazionale, casuale (solo illusoriamente guidato dalla nostra phronesis) che qualcuno chiama “vita”. Ciò che hai scritto mi ha fatto venire in mente alcune belle pagine – anch’esse viscerali – del Pendolo di Foucault (da p. 496 a 503) dove il protagonista Jacopo Belbo ritrova, in un fantasmagorico golgota, attraverso la luce della memoria à rebours, il Senso dell’Occasione, l’epifania dell’infanzia da cui tutto nasce e a cui tutto ritorna.
Grazie ancora Fausto e spero che, prima o poi, queste belle pagine diaristiche prendano forma di un romanzo. C’è bisogno di narratori veri e non solo di abili costruttori di macchine narrative, scrittori che facciano ancora letteratura di carne, sangue ed emozioni vere e che sappiano raccontare il loro vero Tempo, senza infingimenti da marketing editoriale. E intuisco che in te ci sia la luce intellettuale e il talento non artefatto del narratore vero.
Franco Forchetti
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By: Franco Forchetti on 23, aprile, 2011
at 2:39 PM
l’immagine di lei bambino che resta in “religioso” silenzio al cospetto del suo prete, mi colpisce e commuove tantissimo. Non ho mai provato la terapia, ma so che il risorgere passa sempre attraverso la sofferenza ed il dolore di cui nessun’altro può farsi carico. Pensare che il golgota di Cristo sia riflesso ogni giorno in quello di tante altre vite, mi sembra l’approccio più diretto e vero al venerdì santo.
Grazie sempre.
By: alessandra r on 25, aprile, 2011
at 12:09 PM