Alzo la cornetta e decido di chiamare. La successione è esatta, non è uno sbaglio. Sto con la cornetta in mano una trentina di secondi, a occhio. Decidere se fare quel numero, faticosamente recuperato, è come sfiorare una cicatrice temendo che ti faccia male. Poi mi dico vabbé ormai ci sei, telefona. Prefisso. Ma non ti viene il dubbio, mi dico, che ci sarà una ragione se hai fatto passare trent’anni, più o meno? E anche lui li ha fatti passare, così, senza una piega. Forse non avevate niente da dirvi, semplicemente… Succede, anche dopo i rapporti molto forti, che sembrano non dover finire mai; sai com’è la vita… No. Non so com’è la vita. Se lo sapessi non starei qui con il telefono in mano.
Prime due cifre. Dài, cosa gli dici? Ti attacchi ai vecchi tempi, alla nostalgia? Gli ricordi che eravate sempre insieme dentro e fuori la scuola, che passava a casa tua persino a Natale e andavate a fare un viaggio in moto, su quel suo 125 con il filo dell’acceleratore rotto, che lui teneva in mano perché non aveva voglia di andare dal meccanico, e faceva un freddo bestiale? O che tu passavi da lui a ogni LP che compravi per avere un suo parere, e lo ascoltavate insieme bevendo uno dei suoi ottimi frullati con dentro di tutto di più, e poi davate i voti? O che avete fatto dei mitici viaggi in campeggio, e alcuni li hai persino raccontati in un libro, eppure non l’hai più chiamato, mai, dico mai? Vi siete sposati, avete avuto figli e non sapete neanche come si chiamano quelli dell’altro, e a stento ti ricordi il nome della moglie, mentre potresti giurare sul nome di quel suo amore giovanile conosciuto sul treno e durato lo spazio di una settimana. Lo so. Lo so, maledetta coscienza dei giorni bui che non mi hai fatto mai chiamare, che hai risvegliato l’orgoglio, la presunzione, l’oblio. Questo lo so. Tutte queste cose le conosco. Ma valeva la pena questo silenzio? Tu me lo sapresti dire se è valsa la pena?
Altre due cifre. E poi come cominci? Ciao sono io, ti ricordi di me? E se non si ricorda? Come ti senti se non si ricorda? D’altronde nemmeno tu ti sei più ricordato di lui per tanti anni. Quando fai la lista degli amici e delle persone importanti qualche volta ti sei persino dimenticato di mettercelo, eppure non ce l’avresti fatta, senza di lui, nemmeno quell’anno della maturità quando siete andati a studiare in montagna, e l’Italia perdeva malissimo chissà quale mondiale. Senti coscienza chissenefrega chissenefrega, non è che sempre si devono fare delle cose che hanno un senso. E ormai ho deciso, ho trovato il numero, lo chiamo e basta.
Altre due cifre. Le ultime.
Squillo. Altro squillo. La voce. Mi paralizzo. Ho la bocca asciutta. Poi dico sono Fausto, sei tu? E lui dice, ma va… come stai? Ed è la stessa voce, sono le stesse parole. Sono trascorsi trent’anni e di colpo siamo lì ai due capi del telefono e non è passato niente. Abbiamo ancora i capelli lunghi portiamo ancora io i miei jeans e lui le sue cravatte dall’enorme nodo. E’ proprio lui. E’ il mio amico. Quello che mi ha fatto cavalcare l’adolescenza e la prima giovinezza fino alla maturità e poi- adesso improvvisamente lo so – è tornato come Cincinnato al suo campo, perché il suo mestiere era finito. Il suo mestiere era finito ma la mia gratitudine no, e mi era rimasta dentro come un sasso pesante che non riuscivo a scagliare. Bastava capirlo. Bastava telefonare per trovarsi ancora. Ciao, amico mio, anche se – come sempre accade – non ti ho mai chiamato così, perché faceva brutta retorica in quegli anni. Ciao. Bentornato.
Buon vento.
Bentornato a te, ragazzo di quegli anni. Il resto, pudicamente, a voce.
By: Titta on 11, marzo, 2011
at 10:42 am
un gesto bellissimo !
a volte il timore di un rifiuto ci priva di momenti piacevoli e di persone che possono donarci tanto. Comunque andrà con il suo amico, lei gentile prof non si pentirà mai
di averlo cercato perchè in fondo questi sono i piccoli gesti eroici della nosta vita.
By: alessandra r on 11, marzo, 2011
at 12:14 PM
che bello
By: LP on 12, marzo, 2011
at 1:07 PM
Chissà perché, Fausto, uno nella vita non perde per strada né i nemici né quelli che uno chiama “conoscenti”. Vabbè che i nemici servono per la vecchiaia e i conoscenti sono persone con le quali uno sta bene proprio perché non si attende da loro alcuna “corrispondenza” di “amicali sensi”. Loro rimangono e uno perde per strada quegli amici con i quali si è costruito un pezzo di viaggio “viscerale”. E il bello è che, spesso, non accade come nel miglior feuilleton dove due amici si odiano e si allontanano perché si contendono la medesima donna. No. Accade senza un motivo davvero dirimente e davvero fondamentale. Forse perché degli amici si è gelosi come delle proprie compagne e allora non si perdona all’amico che ci trascuri in qualche momento. Oppure accade e basta. Senza un senso che sia un vero Senso. Forse possono sopravvivere al tempo le amicizie per affinità elettive, quelle “fraternità intellettuali” che ci legano solo mentalmente a qualcuno: ma sono quelle delle amicizie nel vero senso del termine? O non sono piuttosto delle solidarietà intellettuali che non si nutrono però dei viaggi, delle goliardie, delle zingarate che gli amici fanno insieme?
Comunque sia, perdere amici per strada è una cosa dolorosa perché molto spesso non può alleviarti nemmeno l’idea che sia accaduto per un motivo preciso che ti fa ancora incazzare. A volte – e il tuo racconto finisce così – l’archeologia del tempo perduto smette di essere tale e, se due amici si ritrovano perché qualcuno è più volenteroso dell’altro, allora quell’archeologia diventa una nuova storia, vecchia nell’anima ma ancora viva.
Grazie Fausto di questa bella pagina che credo abbia risvegliato in molti di noi considerazioni ed emozioni.
P.S: anche se la tua pagina è autobiografica ed è attraversata da sentimenti veri (e perciò né costruita né artefatta), lo stile è quello di un narratore vero. Non so se hai già pubblicato romanzi o racconti, ma io leggo in filigrana sia il desiderio di affabulare sulla pagina che la capacità di costruire una narrativa dell’io (che poi rientrerebbe in quel genere dell’autofiction così frequentato dai lettori negli ultimi anni) che, pur essendo “tecnicamente” coinvolgente, non cessa di essere una narrativa di “carne e sangue”.
Franco Forchetti
Franco Forchetti
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By: Franco Forchetti on 12, marzo, 2011
at 5:20 PM
ma provare a scrivere un romanzo, no?
By: roberto Carnesalli on 12, marzo, 2011
at 8:04 PM
@roberto: francamente non ho nessuna buona idea… 🙂
By: faustocolombo on 13, marzo, 2011
at 5:12 PM
@Franco: grazie del commento. Mi sa che la vera letteratura è un’altra cosa. La mia è una terapia, e vi prego di crederci. Alla lettera. Il che vuol dire che c’è una forma di malessere dietro, da cui cerco di guarire. Niente di che andare fiero, insomma. Piuttosto, sono grato a tutti voi che sopportate questa mia vena pseudoletteraria, personale e malinconica, con la comprensione dei veri amici. Miracoli della rete, e delle persone…
By: faustocolombo on 13, marzo, 2011
at 5:14 PM