Mentre l’onda delle rivoluzioni arabe spazza via la presunta stabilità di un mondo intero (compreso il nostro, che non è separato dagli altri quanto ci piacerebbe credere), si levano domande interessanti sul futuro, quasi che finalmente potesse cominciare. Una buona domanda è: possibile che il nostro governo non abbia una strategia diversa da quella dell’invocare gli dei perché le cose vadano bene? E ancora: siamo così sicuri che i buoni rapporti con le dittature siano stati una buona e lungimirante strategia? E la battuta di Berlusconi sulla mancanza di notizie nell’impossibilità di chiamare il colonnello libico “per non disturbarlo” è vera o è uscita dai nostri incubi peggiori?
C’è però soprattutto una domanda che per noi studiosi di comunicazione diventa via via più importante: qual è il ruolo dei social media nelle rivoluzioni arabe? Sull’ultimo numero di Internazionale ci sono alcune interessanti considerazioni in proposito, sparse qua e là in vari reportage e articoli: in primo luogo queste rivoluzioni sono un grande fatto generazionale, una specie di onda del 68 araba. La metà della popolazione di questi Paesi è giovane, sotto i trent’anni. E questi giovani sono cresciuti più laici, più colti, più disperati per la disoccupazione e il contrasto con i propri sogni di quanto immaginassero i regimi da un lato e le forti componenti islamiche di opposizione dall’altro.
Questi giovani usano certo i social networks. Ma si può dire che quelli che li usano lo fanno spontaneamente, inserendoli nella propria vita e nella propria comunicazione. Certo che – a leggere quello che si scrive o si pubblica – si riconoscono i segni della rivolta, ma è un effetto, assai più che una causa.
In secondo luogo, il vero mezzo di comunicazione di queste rivolte è la piazza. Le masse di persone, le folle, funzionano ancora. Anzi, funzionano ancora meglio della comunicazione virtuale perché sommano un effetto di pressione fisica al ben noto effetto mediatico (è difficile non riprendere o non dare peso a masse in piazza). E queste masse sono fatte di persone diverse, alcune delle quali non sanno nemmeno come si accede a un social network, ma sono ben raggiungibili dalle emozioni e dalle parole d’ordine collettive.
Terzo: è interessante guardare come i regimi reprimono o tentano di reprimere: riducono al silenzio la rete, quando ci riescono; così come cancellano dalle informazioni ufficiali la presenza delle rivolte o i loro successi. Insomma, quando ci sono le rivoluzioni il potere censura. Il contrario – si potrebbe dire – delle situazioni di quiete, in cui il potere dice, parla, propone le sue verità, o addirittura fa esprimere gli altri volutamente (anche attraverso i social networks) per meglio controllarli.
E allora, i sn servono, eccome, ma da soli non fanno le rivoluzioni. Ma fanno (una parte dell’) opinione pubblica. E quest’ultima è sempre presente, anche se i regimi non la vogliono. Quello che il crollo dei regimi arabi – con cui l’Occidente ha pensato di poter fare i conti con l’accettazione e il quietismo – ci insegna è che la storia va avanti, e la comunicazione le corre dietro.
Buon vento
Qualche giorno fa parlavo con un amico egiziano… “abbiamo usato i Social Network per organizzarci mi ha detto, l’abbiamo preparata a lungo questa rivoluzione, quando hanno bloccato Internet abbiamo usato il telefono fisso, quando hanno staccato anche quello chiamavamo le persone dalla strada per farle scendere. Le cose dovevano cambiare e tutti hanno fatto la loro parte, urlando, ma anche ripulendo le strade dopo che la manifestazione era passata… Sono fiero del mio popolo: gli egiziani sono consapevoli e disposti a cambiare le cose.”
Poi mi ha guardato intensamente e mi ha chiesto “dovreste farlo anche voi, quando arriverà il momento in cui anche l’Italia dirà Basta?” Mi sono sentita improvvisamente vecchia e sconfitta, cittadina di un paese in cui i Social Network sono poco più della piazzetta di paese e dove da troppo tempo ‘tutto cambia affinché nulla cambi’. Oggi darei qualsiasi cosa per avere lo sguardo del mio amico quando parlo del mio Paese.
By: Laura Intransito on 22, febbraio, 2011
at 2:39 am
Devi agire, Laura. Non sottovalutare il nostro Movimento. C’è devi solo forse sintonizzarti…
By: giuliana bottino on 25, febbraio, 2011
at 6:57 PM