Pubblicato da: faustocolombo | 21, febbraio, 2011

Dittature e social networks

Mentre l’onda delle rivoluzioni arabe spazza via la presunta stabilità di un mondo intero (compreso il nostro, che non è separato dagli altri quanto ci piacerebbe credere), si levano domande interessanti sul futuro, quasi che finalmente potesse cominciare. Una buona domanda è: possibile che il nostro governo non abbia una strategia diversa da quella dell’invocare gli dei perché le cose vadano bene? E ancora: siamo così sicuri che i buoni rapporti con le dittature siano stati una buona e lungimirante strategia? E la battuta di Berlusconi sulla mancanza di notizie nell’impossibilità di chiamare il colonnello libico “per non disturbarlo” è vera o è uscita dai nostri incubi peggiori?

C’è però soprattutto una domanda che per noi studiosi di comunicazione diventa via via più importante: qual è il ruolo dei social media nelle rivoluzioni arabe? Sull’ultimo numero di Internazionale ci sono alcune interessanti considerazioni in proposito, sparse qua e là in vari reportage e articoli: in primo luogo queste rivoluzioni sono un grande fatto generazionale, una specie di onda del 68 araba. La metà della popolazione di questi Paesi è giovane, sotto i trent’anni. E questi giovani sono cresciuti più laici, più colti, più disperati per la disoccupazione e il contrasto con i propri sogni di quanto immaginassero i regimi da un lato e le forti componenti islamiche di opposizione dall’altro.

Questi giovani usano certo i social networks. Ma si può dire che quelli che li usano lo fanno spontaneamente, inserendoli nella propria vita e nella propria comunicazione. Certo che – a leggere quello che si scrive o si pubblica – si riconoscono i segni della rivolta, ma è un effetto, assai più che una causa.

In secondo luogo, il vero mezzo di comunicazione di queste rivolte è la piazza. Le masse di persone, le folle, funzionano ancora. Anzi, funzionano ancora meglio della comunicazione virtuale perché sommano un effetto di pressione fisica al ben noto effetto mediatico (è difficile non riprendere o non dare peso a masse in piazza). E queste masse sono fatte di persone diverse, alcune delle quali non sanno nemmeno come si accede a un social network, ma sono ben raggiungibili dalle emozioni e dalle parole d’ordine collettive.

Terzo: è interessante guardare come i regimi reprimono o tentano di reprimere: riducono al silenzio la rete, quando ci riescono; così come cancellano dalle informazioni ufficiali la presenza delle rivolte o i loro successi. Insomma, quando ci sono le rivoluzioni il potere censura. Il contrario – si potrebbe dire – delle situazioni di quiete, in cui il potere dice, parla, propone le sue verità, o addirittura fa esprimere gli altri volutamente (anche attraverso i social networks) per meglio controllarli.

E allora, i sn servono, eccome, ma da soli non fanno le rivoluzioni. Ma fanno (una parte dell’) opinione pubblica. E quest’ultima è sempre presente, anche se i regimi non la vogliono. Quello che il crollo dei regimi arabi – con cui l’Occidente ha pensato di poter fare i conti con l’accettazione e il quietismo – ci insegna è che la storia va avanti, e la comunicazione le corre dietro.

Buon vento

 


Risposte

  1. Qualche giorno fa parlavo con un amico egiziano… “abbiamo usato i Social Network per organizzarci mi ha detto, l’abbiamo preparata a lungo questa rivoluzione, quando hanno bloccato Internet abbiamo usato il telefono fisso, quando hanno staccato anche quello chiamavamo le persone dalla strada per farle scendere. Le cose dovevano cambiare e tutti hanno fatto la loro parte, urlando, ma anche ripulendo le strade dopo che la manifestazione era passata… Sono fiero del mio popolo: gli egiziani sono consapevoli e disposti a cambiare le cose.”
    Poi mi ha guardato intensamente e mi ha chiesto “dovreste farlo anche voi, quando arriverà il momento in cui anche l’Italia dirà Basta?” Mi sono sentita improvvisamente vecchia e sconfitta, cittadina di un paese in cui i Social Network sono poco più della piazzetta di paese e dove da troppo tempo ‘tutto cambia affinché nulla cambi’. Oggi darei qualsiasi cosa per avere lo sguardo del mio amico quando parlo del mio Paese.

  2. Devi agire, Laura. Non sottovalutare il nostro Movimento. C’è devi solo forse sintonizzarti…


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