Ricevo, e pubblico malvolentieri.
“Caro prof (posso chiamarla così, vero? tanti ormai la chiamano così, anche su questo blog), mi permetto di scriverle per una doppia lamentela. La prima è diretta esplicitamente a lei e a questo blog: mi pare lei abbia sottovalutato l’importanza centrale del caso di Sara Scazzi, su cui non ha speso una riga. Eppure, tutti i media ne hanno parlato, e nemmeno lei è stato risparmiato, come ho letto in una sua intervista rilasciata all’agenzia Sir. La maggioranza ha spesso torto, ma in questo caso ha ragione: il caso è importante, perché ha manifestato la vera radice della nostra società attuale. Vede, si tratta di una radice ben diversa da quella società dell’amore così tanto promossa e sponsorizzata da ottimisti e piazzisti della politica, della religione e dell’umanità. Una profonda radice maligna, che si bea dell’infelicità e della spettacolarità degli infelici. Una radice che ha a che vedere con le zone oscure dei rapporti familiari, che si alimenta della violenza orchesca, che altro non è che la faccia oscura del benessere ignorante. Avrebbe detto Freud, l’unheimliche che si svela e ci colpisce quando meno lo aspettiamo. Dunque, il suo silenzio (se la conosco, una presa di posizione politica, non una dimenticanza) è particolarmente colpevole: lei vuole nascondere questa radice, forse perché, come temo, ne ha colto l’aspetto più profondo e inquietante.
E qui la seconda lamentela, per cui uso il suo blog come semplice veicolo. La lamentela è questa volta rivolta all’opinione pubblica e ai suoi equivoci, che mi fanno sentire piccolo, quasi trasparente. Sono stanco di essere ignorato. Sono stanco di essere sottovalutato. Ho letto e ascoltato nei media e per le strade, che frequento con la curiosità del flaneur, tanti discorsi sul male di uno zio che uccide (o forse no) la nipote, o di una giovane donna che uccide (o forse no) la cugina. Sul male dei racconti dei media, i quali con una mano condannano se stessi e con l’altra avvicinano i propri obiettivi ai protagonisti ingigantendo una vicenda già truce. Nessuno, dico nessuno, si è curato di me. Eppure era così semplice. Bastava guardare attentamente le facce dei curiosi in pellegrinaggio sui luoghi della violenza. Ascoltare le voci fintamente partecipi di certi operatori dell’informazione che gongolavano della violenza e del dolore. Leggere con attenzione le istanze profonde di ogni telespettatore sempre più curioso e affamato di particolari, pronto a condannare o assolvere, così come di ogni parente disposto a esibirsi davanti ai flash o alle telecamere. Era così facile vedermi, eppure nessuno mi ha colto, mi ha compreso. Sarà perché io non vivo con gli assassini o con i devianti, ma sono un fedele compagno dell’uomo comune, di cui rappresento per così dire l’anima nascosta e più vera. So che a questo punto sta cominciando a leggere con più curiosità. Si sta chiedendo chi sono. Ha ragione, non mi sono ancora presentato. Lo faccio adesso firmandomi. Io sono l’abisso dell’uomo della strada. Io sono l’orrore”.
Vorrei solo sottolineare che, secondo me, non scrivere una riga sul fatto in questione significa non far parte del sistema della spettacolarizzazione del dolore, ovvero di quel gioco (osceno, morboso) dell’orrore che si condanna.
Il silenzio qui è, a mio parere, un segno di rispetto, una denuncia ancora più assordante di quanto sta accadendo da anni e che alcuni di noi vedono con lucidità.
Il silenzio, in questo caso, è sottrarre un po’ di “lacrime e sangue” alla folla assetata che già sta sguazzando serenamente nella tragedia (giusto per mantenere lo stile orrorifico! 😉 ).
Temo che la “radice maligna” di cui parla Orrore/Abisso sia addirittura strumentale, serva per distrarre da tante altre questioni e forse è su quelle che dovremmo concentrarci, forse è per questo che non si parla, qui, del male banale di tutti che ormai conosciamo, perchè ci viene propinato, esibito, ovunque.
Io, almeno, lo interpreto così.
Oriana (non Or-rore, spero!!:-D)
By: Oriana on 20, ottobre, 2010
at 2:14 PM
detto bruscamente: queste parole somigliano un po’ troppo al facile moralismo. L’orrore dell’uomo della strada?? Ma andiamo…
I media generano anche questo: reazioni emotive. E spesso, il silenzio è l’arma migliore.
By: matteos on 20, ottobre, 2010
at 6:57 PM
@matteos: mi è capitato anche su FB, dove ho postato un link a questa “lettera”: espediente narrativo, mi sembrava ovvio, ma forse non lo è (ovvio). Mi sono scritto una lettera firmata Orrore. L’avesse fatto Dylan Dog (Sclavi) o Luther Blissett, sarebbe stato chiaro. Ma evidentemente la letteratura non è il mio forte. Ciò che volevo dire è che sono abbastanza stupefatto di tanto moralismo sui protagonisti “altri”: gli assassini, i parenti che si mostrano, gli altri giornalisti; e magari ci si interroga poco sulla trave che sta nell’occhio di chi guarda, anzi si fa spettatore, fan del delitto. Cosa molto studiata dalla buona sociologia (vedi Consuelo Corradi), ma non so perché sempre rimossa dalla narrazione dozzinale dei media, che anzi su quella antica abitudine si basano. L’uomo della strada non è in quella lettera (ma è firmata Orrore, ricordi?) l’uomo comune, ma quello che scende in strada anziché in piazza per ingurgitare volutamente l’orrore altrui, e dire io c’ero. Quest’uomo, che non sta sempre in strada, dovrebbe forse difendersi da questa sua anima nascosta, non pensi? Dovrebbe essere educato ad avere un grado sufficiente di riflessività per chiedersi “ma cosa sto facendo?”. Molti non ce l’hanno. A me fanno davvero orrore.
Cmq, meglio cessare gli esperimenti letterari… 🙂
By: faustocolombo on 20, ottobre, 2010
at 7:39 PM
da quand’è che hai preso a fare il situazionista? 😉
By: matteos on 20, ottobre, 2010
at 7:46 PM
però la cosa è abbastanza sorprendente. lo scorso fine settimana mi trovavo a cagliari per lavoro, e in aeroporto, sul taxi, mentre aspettavo di fare colazione in una qualsiasi pasticceria cagliaritana, ovunque insomma, si parlava dell’omicidio – parole, ad essere benevoli, neanche troppo misurate, c’era chi aveva capito tutto fin dal primo istante, chi invocava la legge del taglione, chi spaccava in quattro la parola normalità di fronte ad una famiglia sotto la luce abbagliante dei media, sicuro che di normali ce ne fossero pochi in famiglia se non nel paese intero. e come se non bastasse, ho sentito le stesse identiche parole tornando a milano, in aeroporto, in metropolitana, davanti al crocevia dell’edicola, non senza pensare che prima di qualsiasi cosa, della crisi pubblica italiana, della cassaintegrazione, delle speranze al lumicino di intere generazioni precarie perfino di una forma riconosciuta e stabile di conflitto con il presente e le sue leggi, c’è l’orrore quotidiano, un arco voltaico che unisce l’italia intera, una nazione a centocinquantanni dalla proprio fondazione riunita intorno ai fantasmi e alla supposizioni investigative, l’orrore stemperato in una tragicomedia da aperitivo in cui scambiare battute e dettagli sulla vita privata dei presunti assassini, una patologia italiana così diffusa che qui conrand non sarebbe potuto nascere, nè scrivere “cuore di tenebra”, si sarebbe guardato bene dal pronunciare “l’orrore!”, se ne sarebbe guardato bene. così penso sempre più spesso a truman capote. penso alla scrittura limpida senza tempo di “a sangue freddo”. penso al libro che truman capote scrisse in sei anni cercando di restituire ordine, molteplicità, esattezza, compassione umana alla storia di due assassini che sterminarono a sangue freddo tutta una famiglia nel kansas. alla letteratura, insomma. forse questo è mancato in tutto questi giorni di dolore rappreso nelle fotografie di una ragazzina inquadrate nei telegiornali. l’esattezza, la pulizia e il rigore della verità. la rappresentazione complessa di un caso disperato, e perciò umano, infinitamente troppo umano.
giuseppe
By: giuseppe zucco on 20, ottobre, 2010
at 8:35 PM
Mi permetto di fare un commento alla prima lettera postata.
Mi trovo d’accordo con Matteos nel trovare questo intervento un banale esempio di moralismo (di cattivo gusto aggiungerei).
Ma soprattutto mi pongo una domanda: C’è davvero qualcosa di cui parlare e discutere?
E’ stata uccisa una ragazzina, dapprima abbiamo additato lo zio orco e avuto compassione della cugina, poi ci siamo scagliati su quest’ultima e abbiamo avuti ripensamenti sullo zio, successivamente abbiamo tirato in mezzo anche la zia che sapeva e ha taciuto…
Ma guardiamo la realtà dei fatti: possiamo dire solo che Sarah è morta, non sappiamo chi è stato, il perchè l’ha fatto, da chi è stato aiutato… cosa c’è da dire al riguardo???
Non ci rendiamo conto che si sta costruendo attraverso i media una sit com di pessimo gusto?
Gli elementi ci sono tutti: c’è una vittima, c’è il cattivo, ci sono i complici, ci sono ripetuti colpi di scena…e noi dovremmo renderci partecipi di questo scempio?
Mi sento dunque di rispondere alla lettera sopra pubblicata: penso che nessuno voglia nascondere niente, ma se parlare di questa “radice maligna” significa sguazzare nelle tragedie altrui…Beh, sinceramente preferisco starmene in silenzio…
By: Mattia on 21, ottobre, 2010
at 2:39 PM