Dunque, dopo tanti anni, la mia ragazza se ne va. E la cosa è di tale importanza, per me, da farmi tralasciare la regola numero uno che mi sono dato su questa nave (niente fatti personali). Perché la ragazza di cui parlo è molte cose, e sono talmente abituato a vederla per casa, quando c’è (il che per la verità non accade molto spesso) che mi sembra strano pensare che non vivremo più sotto lo stesso tetto. Dunque, dicevo, lei è molte cose, per me. La mia studiosa preferita, per esempio, anche se si occupa di cose che francamente non capisco, ma quando la senti parlare intuisci che dietro ci deve essere un mondo meraviglioso in cui idee e concetti hanno una purezza e un nitore che poi la vita ordinaria ti fa dimenticare. O la mia atleta preferita, non solo quando vince (ricordo bene certe telefonate dopo prestazioni esaltanti, e anche qualcuna triste dopo gare andate male). Oa la mia lettrice preferita, quella che divora libri a una velocità spaventosa, e ti chiedi come faccia, anche se sei un lettore compulsivo come me. In generale, lei è (è stata, dovrei dire) la mia giovinezza, perché i suoi pochi anni mi hanno fatto vivere nella consapevolezza residua di cosa significa essere giovani, anche quando l’esperienza personale non mi apparteneva più.
Dunque, la sua scelta (comunicata in fretta, secondo il suo stile), non mi ha lasciato indifferente, anche se so da sempre che sarebbe arrivata.
E tuttavia… in questi giorni mi sto godendo le ultime frange di lei: giriamo per negozi di mobili, facciamo conti. Mi lascio imprimere negli occhi e nel cuore la sua presenza, così avrò qualcosa da ricordare.
Capirete che stando così le cose, devo dedicarle qualcosa. Ho pensato alla scena finale di Always, di Spielberg. Alle ultimissime parole pronunciate da Richard Dreyfuss, uno dei miei attori preferiti:
.
Penso che lei – e chi altro di dovere – capirà.
Scusate ancora il mio messaggio in bottiglia, naviganti. Ma una figlia non se ne va tutti i giorni.
Buon vento.
Mi risulta più facile per vari motivi rispondere ad un messaggio così che alle vostre belle discussioni che fra mille cose, cerco comunque di seguire. Discussioni e pensieri che sono in questo momento della mia vita tra lavoro, bimba e famiglia, un bel ritaglio di tempo per me stessa.
Una voce che corre dall’altra parte del filo, una figlia uscita di casa con preavviso, ma con modalità diverse da quelle canoniche.
Non è facile lasciare.
Non è facile andare.
In qualsiasi modo lo si decida di fare. E’ sempre difficile.
L’incrocio di mille quotidianità che costruisce la vita in comune di una famiglia è una presenza silenziosa che accompagna in maniera diversa ciascuno di noi. E quando smette lascia un vuoto. E’ dura svegliarsi al mattino e non avere intorno quei rumori famigliari, quelle presenze famigliari. Incroci e scontri, silenzi e racconti.
Ma poi inizia un’altra serie di incroci.
Dopo il vuoto iniziale ti accorgli che esci da una porta e rientri dalla finestra. Ed in realtà quella serie di incroci non smette mai, ma semplicemente si modifica. Rallenta e muta di registro e di timbro. Tu, che sei uscita, ne inizi a costruire di nuovi, e contemporaneamente continui a sentire dentro di te il suono di quelli che ti hanno vista crescere ed improvviso, non sai bene come, fai parte di un enorme groviglio di fili che intrecciano a diversi livelli piccoli frammenti di quotidianità famigliari.
Intanto godetevi queste ultime frange, in attesa di costruirne di nuove….
Un abbraccio
By: serena on 31, luglio, 2009
at 12:08 PM
Concordo con Serena. Non sono un genitore e non posso sapere cosa scatta nella testa di un padre o di una madre quando un figlio dice: “ok, io vado”.
Ma da figlia posso dire che non è tanto facile nemmeno per noi dire quel “io vado” in modo consapevole, che fa iniziare una nuova fase della vita di una persona.
Salvo poi scoprire che cambieranno sì i luoghi, ma che i legami resteranno invariati (nel bene e nel male…:)
Buon inizio.
V.
By: Esse on 31, luglio, 2009
at 4:09 PM
Il riso abbonda sulla bocca dei cinesi
By: Bukowski on 1, agosto, 2009
at 1:44 PM
Ricordo quando anch’io sono uscita di casa..e devo dire che anche nel mio caso l’ho comunicato in fretta.
lo meditavo da molto, ci riflettevo da un sacco di tempo, pensavo e ripensavo, e alla fine l’ho deciso…anch’io ho pronunciato quelle parole in velocità, in fretta..forse per paura, per togliere alle parole ogni tipo di pesantezza…per il timore che ogni secondo in più mi avrebbe mostrato in maniera chiara, fin troppo chiara, che non sapevo come sarebbero state le mie giornate senza tornare a casa alla sera dai miei genitori.
By: Debora on 3, agosto, 2009
at 3:57 PM
Grazie dei commenti. Grazie a tre ragazze più o meno della stessa età, o poco più grandi di lei, che mi hanno raccontato l’altra parte della barricata, come io ho cercato di raccontare la mia.
Comunque, tutto bene. Non vorrei aver dato l’impressione di una eccessiva sofferenza: sono sensazioni strane, dove la malinconia e l’entusiasmo si mescolano continuamente. Ma quando mia figlia era piccola, una volta, in piedi su un fasciatoio, si mise a agitare le braccia dicendo : voglio volare. E poi aggiungendo, con i suoi piedi ancora ben appoggiati e tenuti lì dalla forza di gravita: voglio volare ma non ci riesco.
Ecco: adesso stai per farlo. Buon vento, figlia mia.
By: faustocolombo on 3, agosto, 2009
at 8:12 PM